sabato 24 gennaio 2015

"Il cardellino", Donna Tartt


And I feel I have something very serious and urgent to say to you, my non-existent reader, and I feel I should say it as urgently as if I were standing in the room with you. That life – whatever else it is – is short. That fate is cruel but maybe not random. That Nature (meaning Death) always wins but that doesn’t mean we have to bow and grovel to it. That maybe even if we’re not always so glad to be here, it’s our task to immerse ourselves anyway: wade straight through it, right through the cesspool, while keeping eyes and hearts open. And in the midst of our dying, as we rise from the organic and sink back ignominiously into the organic, it is a glory and a privilege to love what Death doesn’t touch

“Il cardellino” è un piccolo e prezioso dipinto fiammingo del 1654. Il suo autore, Carel Fabritius, morì tragicamente nell’esplosione dell’arsenale di Delft lo stesso anno e con lui scomparve anche gran parte della sua inestimabile opera. Questo piccolo dipinto è il cuore del terzo romanzo di Donna Tartt (per il quale è stata insignita del Premio Pulitzer nel 2014) e come il suo protagonista è un sopravvissuto. Theo Decker è un tredicenne di Manhattan che vive solo con la madre, dopo che il padre, un ex attore di scarso successo, alcolizzato e malato di gioco d’azzardo, li ha abbandonati. A causa di una sospensione ottenuta nella sua costosa scuola privata, Theo e sua madre decidono di passare una mattinata al Metropolitan Museum of Art dove è temporaneamente esposto il dipinto preferito della donna, “Il cardellino”, appunto. Durante la visita un attacco terroristico distrugge il museo e Theo si ritrova orfano. Nella confusione del momento il ragazzino ruba il piccolo dipinto fiammingo, che da allora diventa sua personale ossessione e talismano. La morte della madre divide la vita di Theo in due parti, un prima e un dopo la tragedia. Sconvolto, spaesato e divorato da un dolore che lo isola sempre di più dal mondo esterno, dapprima viene affidato a una ricca famiglia di conoscenti, I Barbour, poi al padre e alla sua compagna Xandra, che misteriosamente ricompaiono nella vita di Theo e lo trascinano a Las Vegas. Qui Theo conosce quello che diventerà il suo grande amico e la sua nemesi, Boris, un novello Jack Dawkins (o un Lucignolo noir) che porta colore a ogni pagina in cui compare, ed è forse il personaggio meglio riuscito dell’opera. I due cominciano a vivere una vita in cui gli adulti non sono quasi mai presenti (e le loro incursioni generalmente hanno conseguenze violente e dolorose), una vita fatta di droga e alcol, piccoli furti ed espedienti di vario tipo. Ma mentre Boris cerca il divertimento sfrenato, Theo, affetto da una sempre più devastante sindrome post-traumatica, tenta di distruggere se stesso e avvicinarsi pericolosamente alla morte. Al suo ritorno a New York viene preso in cura da un venditore di antiquariato, Hobie, il cui socio in affari è rimasto vittima dello stesso attentato che ha ucciso la madre di Theo. Con lui quel giorno c’era Pippa, una diafana teenager dai capelli rossi, rimasta gravemente ferita durante l’esplosione. Theo coltiva un segreto e ossessivo amore per la ragazza, che vede come l’unica persona che possa davvero comprendere il suo devastato mondo interiore, e allo stesso tempo si rifugia nella bottega di Hobie, in mezzo ai suoi mobili antichi, cercando sicurezza e riparo nelle pieghe del legno ben restaurato, negli oggetti vissuti, sotto l’ala protettrice di questo uomo che è anche egli un po’ fuori dal tempo, coi suo modi gentili e la sua delicatezza d’animo (in pieno contrasto con la sua stazza, che lo rende un po’ un gigante buono).
“Il cardellino” e` un romanzo dal respiro antico. Innanzitutto la sua trama è decisamente Dickensiana (“Grandi Speranze” e “Oliver Twist” si fondono insieme e si trasferiscono negli Stati Uniti) con un orfano che deve imparare a badare a se stesso insieme a una guida, Boris, non troppo raccomandabile. Il suo stile invece mi ha ricordato i grandi romanzi russi: una vasta gamma di personaggi secondari che arricchiscono la narrazione, un intreccio complesso, un protagonista che è quasi un antieroe in balia del destino avverso, grandi passaggi descrittivi. In questo Donna Tartt ci offre un vero e proprio capolavoro della letteratura. Ogni personaggio, stato d’animo, paesaggio è descritto con minuzia maniacale, fino a restituire al lettore un oggetto in tre dimensioni, qualcosa di tangibile. La notte stellata nel deserto, il cane che incontra dopo dieci anni una persona che ha amato, il dipinto di Carel Fabritius, escono dalle pagine del libro, sono una cosa non solo reale, ma vera. Probabilmente ciò in cui eccelle la Tartt è però la grande capacità di destreggiarsi con i sentimenti: riesce davvero, come una direttrice d’orchestra, a creare una sinfonia perfetta, che tocca ottave elevatissime del pathos. Ma “Il cardellino” non è una mera riflessione sul dolore: il libro si dipana attraverso una trama fitta e complicata, passando per una lunga serie di crimini (e qui da “Grandi Speranze” passiamo a “Delitto e Castigo”). Il ritmo però non è quasi mai serrato, almeno per i buoni primi tre quarti del romanzo. Per questo non mi sono particolarmente stupita quando è stato dichiarato uno dei libri più abbandonati dai lettori sul dispositivo Kobo nel 2014. Si tratta di una lettura complessa e a tratti decisamente pesante, che può demoralizzare alcuni lettori. Ma se riuscirete a seguire il sofferto cammino di Theo verso l’età adulta, allora anche voi forse troverete un pezzettino di voi stessi o per lo meno uno splendido spunto di riflessione sul destino è la fatalità.