mercoledì 5 febbraio 2014

"Il passato è una terra straniera", Gianrico Carofiglio

Giorgio conduce una vita normale, quasi banale. Gli manca un esame alla laurea in giurisprudenza, è fidanzato con Giulia, che proviene dall’ambiente della Bari bene e con la quale trascorre le sue serate in una sonnolenta routine. Una sera si intromette in una zuffa per difendere un ragazzo che conosce appena, Francesco, e da quel momento la sua vita cambia improvvisamente. Tra i ragazzi nasce una buona amicizia e Giorgio comincia a frequentare sempre più assiduamente il nuovo amico. Ad unirli sono una serie di partite a poker che Francesco trucca grazie alle sue doti di prestigiatore e che fruttano ai due soldi facili. Inizialmente Giorgio è titubante, per via delle implicazioni etiche e della voce della coscienza, ma pian piano si fa prendere la mano dal gioco d’azzardo e dalla vita dissoluta che conduce. Tra i due si instaura un rapporto quasi morboso, con Francesco che domina del tutto Giorgio e lo spinge compiere qualunque azione egli abbia deciso, dimostrando un’abilità impressionante non solo nel manipolare le carte ma anche le persone. Ben presto l’adrenalina delle vittorie al tavolo da gioco non basta più e i due si ritrovano ad affondare insieme verso l’autodistruzione, Francesco senza mai un’esitazione, a testa bassa, e Giorgio spezzato dal sensi di colpa che gli provoca la vista dei propri genitori, spaesati e disperati per il suo improvviso cambiamento, ma incapace di resistere alla volontà del suo amico.
Questo romanzo ha un pregio, ha un ritmo davvero coinvolgente e non si può abbandonare la lettura finché non si arriva al fondo, insieme ai suoi protagonisti. Questa narrazione così incalzante e coinvolgente ha un che di cinematografico e non stupisce che Daniele Vicari ne abbia tratto un film, nel 2008. Al di là della dipendenza dal gioco d’azzardo, Carofiglio ci presenta una serie di personaggi ben riusciti, anche se probabilmente Francesco risulta tanto abile nei raggiri, tanto crudele e freddo da sembrare stereotipato. Il suo non mettere mai in discussione il proprio operato lo rende forse un pochino monotono e bidimensionale. Il protagonista, Giorgio, con la sua incapacità di trovare uno scopo nella vita e con il suo attaccamento a un’amicizia malata, è molto più interessante, e in generale lo è anche il concetto stesso di  dipendenza che attraversa tutto il romanzo, pur cambiando volto ogni volta. Un vero peccato è la figura appena abbozzata di Giorgio Chiti, carabiniere che indaga su una serie di stupri che sconvolgono Bari, ma che non viene approfondita abbastanza.

In generale è un romanzo piacevole e ricco di pathos, con una prosa limpida e scorrevole, ma la mia impressione è che molti argomenti vengano trattati e che nessuno venga davvero sviscerato fino in fondo, fino alla sua causa ultima. Nell’insieme mi ha lasciato una sensazione di superficialità.