giovedì 29 novembre 2012

"Miele", Ian McEwan

Ah, ma come scrive Ian McEwan! Passatemi questa esclamazione  perché è il pensiero fisso che mi ha accompagnata durante tutta la lettura e che, a maggior ragione,  mi rimbalza in testa ora che "Miele" è ancora caldo accanto a me, appena finito. Ogni parola, nella scrittura di McEwan, è studiata e posizionata con cura, ogni frase è un piccolo capolavoro di perfezione di cui l'autore fa sfoggio, senza nascondere il lavoro perfezionista che ha compiuto. Pare incredibile che dopo opere come "Espiazione" o "Amsterdam" la sua opera possa ancora stupire, eppure anche questa volta riesce a cogliere di sorpresa anche il lettore più attento. Della trama non voglio svelarvi granché per non guastarvi il gusto della scoperta: Serena Frome ci racconta in prima persona, ad anni di distanza, l'esperienza giovanile di essere ingaggiata dall'MI5, un reparto dei servizi segreti britannici. Siamo negli anni Settanta e, con sua grande delusione, le donne sono relegate al ruolo di mere scribacchine, completamente estromesse dai reparti operativi, dalla carriera di vere spie. Grazie alla sua passione maniacale per i romanzi, però, Serena viene promossa dai suoi superiori e inserita, come agente sul campo, nel progetto "Miele". In piena guerra fredda, lo scopo della ragazza, sotto le mentite spoglie di impiegata in un ente benefico che finanzia autori emergenti, è quello di ingaggiare un giovane scrittore, Tom Haley, finanziarlo e segretamente guidare la sua opera verso un filone anti-sovietico e anti-comunista. Ovviamente, manco a dirlo, tra i due nasce un amore che non può che essere ambiguo e traballante, poiché incentrato sulla doppia vita di Serena.
La lettura di "Miele" mi ha ricordato un po' un giro sulle montagne russe: per due terzi del libro il ritmo è lento, a tratti quasi noioso, con le minuziose descrizioni di Serena della sua monotona vita impiegatizia. Poi di colpo la trama precipita e con essa il ritmo narrativo, che si fa serrato e incalzante, che tiene incollato il lettore ai capitoli conclusivi (ho letto le ultime 90 pagine tutte insieme, d'un fiato), proprio come un trenino alle giostre che sale lento, creando aspettative e senso di irrequietezza, e poi imbocca la discesa di colpo e la percorre a tutta velocità, in pochi attimi mozzafiato.
Pur non essendo a mio avviso la sua opera meglio riuscita (la voce narrante di Serena Frome non ha lo stesso fascino di quella di Briony Tallis), McEwan è un re della scrittura e della narrazione e anche questa volta riesce a deliziarci con le sue storie surreali ma infarcite di personaggi reali e imperfetti, messi a nudo nei loro difetti e talvolta nelle loro meschinità, e il tutto con il suo stile inconfondibile ed elegantemente cinico e tagliente. Very British.

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