lunedì 23 luglio 2012

“Trilogia della città di K.”, Agota Kristof


Scrivere di quest’opera di Agota Kristof sarà molto complicato perché si tratta di uno dei libri più complessi, a tratti addirittura assurdi, che io abbia mai letto. La storia si dipana lungo tre libri: “Il grande quaderno” (1986), “La prova” (1988) e “La terza menzogna” (1991), poi raccolti nella “Trilogia della città di K.”. Il grande quaderno” è una raccolta di temi scritti da due gemelli che vivono durante una guerra, in un Paese dell’est Europa invaso dapprima da un esercito di liberatori che ben presto diventano conquistatori. La Kristof non parla mai esplicitamente né di Ungheria né di Unione Sovietica, ma non è difficile individuare le coordinate di questa storia se si conosce la vita di questa scrittrice ungherese, esule dal 1956, fuggita alla repressione del regime sovietico trovando rifugio in Svizzera. I componimenti dei bambini raccontano degli accadimenti neri e terribili della guerra e di un’infanzia troppo presto violata. Ne “La prova” è Lucas, uno dei gemelli ormai cresciuto, a prendere in mano le redini del racconto, che via via assume toni sempre più scuri, duri, inquietanti. Fino ad arrivare a “La terza menzogna” dove si capisce che in questa storia tutto può essere il contrario di tutto e che comprendere dove finisca la realtà dei fatti e dove cominci la fantasia malata dei vari narratori è assolutamente impossibile. La verità non è solo legata ai punti di vista ma alle menti stesse dei protagonisti, luogo in cui gli avvenimenti potrebbero essere accaduti veramente. O forse no. La logica si perde nell’intreccio delle storie, degli aneddoti che si complicano, si ingarbugliano, che si confondono delineando però uno scenario sempre più chiaro. È una storia dura sull’impossibilità per l’uomo di fare un’infinità di cose: di amare, sia gli altri che se stessi, l’impossibilità di dimenticare e andare avanti, ma anche di perdonare e ricominciare da capo. Ma soprattutto si ha l’impossibilità di ritornare finalmente a casa e di accettare la realtà, smettendo di ingannare se stessi e gli altri nel vano tentativo di far aderire i fatti reali alla propria visione della vita. I sentimenti dolorosi, profondi, crudeli che vengono descritti dalla Kristof, con la sua scrittura perfettamente scarna e asciutta, ci fanno comprendere che invisibili connessioni collegano gli uomini gli uni agli altri, anche a chilometri di distanza, anche ad anni di distanza, senza mai aver comunicato. Le parole della Kristof sono coltellate sublimi, sono una pece nera che cola sull’anima, macigni che cadono sul cuore e di lì non vogliono più andarsene. E, fino all’ultima frase, non si riesce a smettere di farsi del male, non si può rinunciare al dolore che questa storia può suscitare.
“Trilogia della città di K.” è un vero capolavoro anche se temo che la durezza cruda di questa storia potrebbe scoraggiare molti lettori. Ma provateci. Se riuscirete ad arrivare in fondo capirete quanto è in grado di regalare questo libro.

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